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Rimuginare è normale?

Psiconet centro clinico di psicologia psicoterapia Roma San Giovanni Rimuginazione

Rimuginare è normale?

Per “rimuginio” si intende un fenomeno clinico contraddistinto da pensieri negativi, ripetitivi e parzialmente incontrollabili in cui l’attivazione fisiologica tipica dell’ansia si irrigidisce

Borkovec individua tre caratteristiche distintive di questo processo mentale:

  1. predominanza del pensiero verbale negativo
  2. evitamento cognitivo
  3. inibizione dell’elaborazione emotiva.

Nel rimuginio prevale, quantitativamente, il tempo passato a prevedere possibili eventi negativi e questo tipo di attività mentale sarebbe in prevalenza di tipo verbale (interessa poco l’immaginazione visiva).

Secondo Borkovec è proprio questo elemento (predominanza del pensiero verbale) a rendere il fenomeno del rimuginio disfunzionale.

Infatti diverse ricerche (Vrana, Cuthbert e Lang, 1986) dimostrano che il pensiero verbale (riguardante vissuti emotivamente gravosi) provoca una risposta cardiovascolare molto più lieve rispetto a quella indotta dall’immaginazione visiva, portando il soggetto “rimuginatore” a gestire in maniera razionale le emozioni spiacevoli.

Tuttavia però, questa prolungata inibizione emotiva, associata ad una modalità statica e vaga di rappresentarsi la minaccia temuta, oltre che a mantenere lo stato di disagio invariato, non permette a questi soggetti di produrre scenari possibili per la gestione del problema (piani di attacco, difesa, compromesso etc.); piuttosto il soggetto è portato a continuare a rievocare, ripetendoli mentalmente e con previsioni tragiche, i vari aspetti del problema giudicando ogni soluzione come vana e inconsistente.

L’evento minaccioso è vissuto con estrema indefinitezza e il soggetto non è in grado di ponderare l’entità e la gravità del danno vivendolo solo come catastrofico e definitivo.

Il rimuginare, dunque, sarebbe di per sé uno stato adattivo se il soggetto fosse in grado di procedere su un piano operativo trovando le opportune strategie di fronteggiamento del pericolo e non rimanendo intrappolato in uno stato di inibizione emotiva che causa, a lungo termine, una persistenza delle stesse emozioni spiacevoli.


Inizialmente il rimuginio, nel campo della psicopatologia, era considerato un fenomeno mentale collegato all’ansia e al suo mantenimento; successivamente è stato inserito nel DSM IV come criterio diagnostico principale del Distrubo d’Ansia Generalizzato (DAG).

Oggi il rimuginio è visto (Borkovec) come un fenomeno clinico indubbiamente vicino all’ansia, ma a sé stante.
Anche nei soggetti ansiosi si trova una prevalenza di pensieri ripetitivi negativi, ma nei “rimugina tori” questi pensieri hanno la peculiarità di essere poco concreti (Eysenck, 1992; Stöber e Borkovec, 2002), non combinati ad una programmazione delle strategie per la gestione del problema e privi di uno stato di arousal fisiologico.

Alcuni studi hanno messo in evidenza le differenze tra “rimuginatori patologici” e “rimuginatori normali” concludendo che la differenza risiede nel fatto che nel primo caso le rimuginazioni riguardano una più vasta gamma di problemi (Roemer, Molina e Borkovec, 1997), i problemi su cui rimuginano sono obiettivamente meno gravi e meno rischiosi (Roemer et al., 1997), passano più tempo a rimuginare (Craske, Rapee, Jackel e Barlow, 1989), sono meno abili nel mettere in relazione il rimuginio con gli eventi scatenanti (Craske et al., 1989), rimuginano e operano una distorsione patologica nel valutare le cause che attivano il rimuginio (MacLeod, Mathews e Tata, 1986).

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